Mascolinità e femminilità come linguaggio oggettivo del corpo

la seguente catechesi  è tratta dal testo “uomo e donna lo creò”  (non mi risulta mai pronunciata dal Santo Padre), per completezza la riporto in questa “raccolta” augurandomi di non violare alcun diritto dell’Editore (ho riportato solo il testo attribuito al Santo Padre e non ho riportato le note ritenendole proprietà intellettuale dell’Editore e dei curatori dell’edizione)

  1. Sia la femminilità della sposa che la mascolinità dello sposo parlano senza parole: il linguaggio del corpo è linguaggio senza parole. Allo stesso tempo questo linguaggio diviene in lei — come anche in lui — la sorgente d’ispirazione per le parole, per questo singolare linguaggio d’amore, che cerca mezzi di espressione nella metafora poetica. Le metafore del Cantico dei Cantici suonano oggi per noi arcaiche, nondimeno ciò che esprimono, come anche la stessa forza con cui si esprimono, ha conservato il suo valore. Sia dalla parte dello sposo, sia da quella della sposa, il «linguaggio del corpo» viene interpretato come linguaggio del cuore. È possibile che lo sposo-l’uomo esprima più direttamente la bellezza della sposa e la propria attrattiva scorgendola soprattutto con gli occhi del corpo; la sposa invece guarda piuttosto con gli occhi del cuore, attraverso il suo affetto. Entrambi tuttavia – lui e lei –esprimono ad un tempo nelle strofe del Cantico, meraviglia e stupore non soltanto per l’«io» altrui nella sua «rivelazione» femminile o maschile, ma anche per l’amore mediante cui quella «rivelazione» si attua.

  1. Le parole dello sposo sono quindi un linguaggio sull’amore ed insieme un linguaggio sulla femminilità della sposa che, attraverso l’amore, gli «appare» tanto degna di stupore e di ammirazione. Parimenti, anche le parole della sposa esprimono l’ammirazione e lo stupore, essendo un linguaggio sull’amore e un linguaggio sulla mascolinità dello sposo. Così dunque nelle parole pronunciate da entrambi viene espressa una particolare esperienza di valori, che irradia su tutto ciò che è in rapporto con la persona diletta:

«Le tue labbra stillano miele vergine, o sposa,

c’è miele e latte sotto la tua lingua

e il profumo delle tue vesti è come il

profumo del Libano» (Ct 4, 11).

Troviamo qui — sempre in uno speciale colorito — le trame di cui è piena la letteratura di tutto il mondo. La presenza di questi elementi nel libro che entra nel canone della Sacra Scrittura, dimostra che sia essi che il rispettivo «linguaggio del corpo» contengono un primordiale ed essenziale segno della santità.

  1. Proseguendo sotto un altro aspetto la nostra analisi di quel ritmo — in apparenza uniforme – dell’amoroso duetto tra lo sposo e la sposa, cogliamo le parole su cui conviene soffermarci in modo particolare.

Lo sposo dice:

«Tu mi ha rapito il cuore,

sorella mia, sposa,

tu mi ha rapito il cuore

con un solo tuo sguardo,

con una perla sola della tua collana!

Quanto sono soavi le tue carezze,

sorella mia, sposa…» (Ct 4, 9-10).

Per la teologia del corpo – e in questo caso per la teologia del segno sacramentale – è cosa di importanza essenziale sapere chi è, in quel duetto – dialogo d’amore -, il femminile «tu» per il maschile «io» e viceversa. Lo sposo del Cantico dei Cantici dice prima: «tutta bella tu sei, amica mia» (Ct 4, 7), e nello stesso contesto si rivolge a lei: «sorella mia, sposa» (Ct 4, 9). Non la chiama col nome proprio (solo due volte appare il nome «Sulammita»), ma usa espressioni che dicono più del nome proprio. Sotto un certo aspetto la denominazione (e l’appellativo) della sposa come «sorella» sembra essere più eloquente e più radicata nell’insieme del Cantico rispetto al chiamarla «amica».

  1. Il termine «amica» indica ciò che è sempre essenziale per l’amore, che pone il secondo «io» accanto al proprio «io». L’«amicizia» — l’amore d’amicizia (amor amicitiae) significa nel Cantico un particolare avvicinamento del femminile «io» della sposa, avvicinamento sentito e sperimentato come una forza interiormente unificante.

Il fatto che in questo avvicinamento quel femminile «io» si rivela per lo sposo come «sorella» — e che proprio come sorella è sposa — ha una particolare eloquenza. L’espressione «sorella» parla dell’unione nell’umanità ed insieme della diversità femminile, dell’originalità di questa umanità. Questa diversità ed originalità non è solo riguardo al sesso, ma anche riguardo allo stesso modo di «essere persona». Se «essere persona» significa non soltanto «essere soggetto», ma anche «essere in relazione», il termine «sorella» sembra esprimere, in modo più semplice, la soggettività dell’«io» femminile nella sua relazione personale: cioè nella sua apertura verso gli altri, verso il prossimo, il particolare destinatario di questa apertura diventa l’uomo inteso come «fratello».La «sorella» in certo senso aiuta l’uomo a definirsi in tal modo, costituisce, direi, per lui una sfida in questa direzione. Si può dire che lo sposo del Cantico accolga questa sfida e dia ad essa una risposta spontanea.

  1. Quando lo sposo del Cantico dei Cantici si rivolge alla sposa con la parola «sorella», questa locuzione significa anche una specifica rilettura del «linguaggio del corpo». Questa rilettura è svolta espressamente nel duetto degli sposi:

«Oh, se tu fossi un mio fratello,

allattato al seno di mia madre!

Trovandoti fuori ti potrei baciare

e nessuno potrebbe disprezzarmi.

Ti condurrei, ti introdurrei nella casa

di mia madre…» (Ct 8, 1-2).

Lo sposo le risponde:

«…non destate, non scuotete dal sonno l’amata,

finché non lo voglia» (Ct 8, 4).

E più avanti:

«Una sorella piccola abbiamo,

e ancora non ha seni.

Che faremo per la nostra sorella,

nel giorno in cui se ne parlerà?» (Ct 8, 8).

E di nuovo le parole della sposa:

«Io sono un muro

e i miei seni sono torri!

Così sono ai suoi occhi

come colei che ha trovato pace!» (Ct 8, 10).

  1. I suddetti passi provano in modo sufficiente che lo sposo del Cantico accoglie la sfida che, in rapporto al femminile «io», è racchiusa nel termine «sorella». Quei passi chiariscono anche cosa significa che a quella «sorella» l’uomo si rivolge come alla «sposa»; perché la «sposa» rimane per lui «sorella»; donde proviene la coerenza (e non la divergenza) di ambedue le espressioni e di entrambi i riferimenti. Il termine «sorella» usato nel Cantico appartiene certamente al «linguaggio del corpo» (ciò è peraltro evidente nei versetti citati), al «linguaggio del corpo» riletto nella verità del reciproco amore sponsale. Nello stesso tempo questo termine sembra, in modo semplice benché fermo, superare la determinazione originaria di quel «linguaggio» (e di quell’amore) unicamente attraverso la «libido» ed aprire l’intero suo contenuto, in maniera del tutto originale, verso l’espressione «sposa», allorché tale espressione nella bocca dello sposo viene congiunta al termine «sorella».