L’adulterio secondo la legge e nel linguaggio dei profeti

UDIENZA GENERALE  – 20 agosto 1980

  1. Quando Cristo, nel discorso della montagna, dice: «Avete inteso che fu detto: Non commetterete adulterio» (Mt 5,27), Egli fa riferimento a ciò che ognuno dei suoi ascoltatori sapeva perfettamente ed a cui si sentiva obbligato in virtù del comandamento di Dio-Jahvè.

Tuttavia, la storia dell’Antico Testamento fa vedere che sia la vita del popolo – unito a Dio-Jahvè da una particolare alleanza – sia la vita dei singoli uomini, si discosta spesso da questo comandamento. Lo mostra anche un sommario sguardo gettato sulla legislazione, di cui vi è una ricca documentazione nei Libri dell’Antico Testamento.

Le prescrizioni della legge antico-testamentaria erano molto severe. Esse erano anche molto particolareggiate, e penetravano nei più minuziosi dettagli concreti della vita (cfr. Dt 21,10-13; Nu 30,7-16; Dt 24,1-4; 22,13-21; Lev 20,10-21 ecc.). Si può presumere che quanto più la legalizzazione della poligamia effettiva si faceva evidente in questa legge, tanto più cresceva l’esigenza di sostenere le sue dimensioni giuridiche e di premunire i suoi limiti legali. Di qui il grande numero di prescrizioni, ed anche la severità delle pene previste dal legislatore per l’infrazione di tali norme. Sulla base delle analisi, che abbiamo precedentemente svolto circa il riferimento che Cristo fa al «principio», nel suo discorso sulla dissolubilità del matrimonio e sull’«atto di ripudio», è evidente che Egli vede con chiarezza la fondamentale contraddizione che il diritto matrimoniale dell’Antico Testamento nascondeva in sé, accogliendo l’effettiva poligamia, cioè l’istituzione delle concubine accanto alle mogli legali, oppure il diritto della convivenza con la schiava. Si può dire che tale diritto, mentre combatteva il peccato, al tempo stesso conteneva in sé, e anzi proteggeva le «strutture sociali del peccato», ne costituiva la legalizzazione. In queste circostanze s’imponeva la necessità che il senso etico essenziale del comandamento «non commettere adulterio» subisse anche una rivalutazione fondamentale.

Nel discorso della montagna Cristo svela nuovamente quel senso, oltrepassandone cioè le ristrettezze tradizionali e legali.

  1. Vale forse la pena di aggiungere che nell’interpretazione antico-testamentaria, quanto la proibizione dell’adulterio è contrassegnata – si potrebbe dire – dal compromesso con la concupiscenza del corpo, tanto è chiaramente determinata la posizione nei confronti delle deviazioni sessuali. Il che è confermato dalle relative prescrizioni, le quali prevedono la pena capitale per l’omosessualità e per la bestialità. In quanto al comportamento di Onan, figlio di Giuda (da cui ha preso origine la moderna denominazione di «onanismo»), la Sacra Scrittura dice che «… non fu gradito al Signore, il quale fece morire anche lui» (Gen 38,10).

Il diritto matrimoniale dell’Antico Testamento, nella sua più ampia globalità, pone in primo piano la finalità procreativa del matrimonio, e in alcuni casi cerca di dimostrare un trattamento giuridico paritario della donna e dell’uomo – per esempio, riguardo alla pena per l’adulterio è esplicitamente detto: «Se uno commette adulterio con la moglie del suo prossimo, l’adultero e l’adultera dovranno essere messi a morte» (Lev 20,10) – ma nel complesso pregiudica la donna trattandola con maggiore severità.

  1. Occorrerebbe forse porre in rilievo il linguaggio di questa legislazione, il quale, come sempre in tal caso, è un linguaggio oggettivizzante della sessuologia di quel tempo. E anche un linguaggio importante per l’insieme delle riflessioni sulla teologia del corpo.

Vi incontriamo la specifica conferma del carattere di pudore che circonda ciò che, nell’uomo, appartiene al sesso. Anzi, ciò che è sessuale, viene in certo senso considerato come «impuro», specialmente quando si tratta delle manifestazioni fisiologiche della sessualità umana. Lo «scoprire la nudità» (cfr. Lev 20,11.17-21) è stigmatizzato come l’equivalente di un illecito atto sessuale compiuto; già la stessa espressione sembra qui abbastanza eloquente. Non vi è dubbio che il legislatore ha cercato di servirsi della terminologia corrispondente alla coscienza e ai costumi della società contemporanea. Così dunque il linguaggio della legislazione antico-testamentaria ci deve confermare nella convinzione che non soltanto sono note al legislatore e alla società la fisiologia del sesso e le manifestazioni somatiche della vita sessuale, ma anche che queste sono valutate in modo determinato. E’ difficile sottrarsi all’impressione che tale valutazione avesse carattere negativo. Ciò non annulla certamente le verità che conosciamo dal Libro della Genesi, né si può incolpare l’Antico Testamento – e, fra l’altro, anche i Libri legislativi – d’esser come precursori di un manicheismo.

Il giudizio ivi espresso riguardo al corpo e al sesso non è tanto «negativo» e nemmeno tanto severo, ma piuttosto contrassegnato da un oggettivismo motivato dall’intento di mettere ordine in questa sfera della vita umana. Non si tratta direttamente dell’ordine del «cuore», ma dell’ordine dell’intera vita sociale, alla cui base stanno, da sempre, il matrimonio e la famiglia.

  1. Se si prende in considerazione la problematica «sessuale» nel suo insieme, conviene forse ancora volgere brevemente l’attenzione su di un altro aspetto, e cioè sul legame esistente fra la moralità, la legge e la medicina, messo in evidenza nei rispettivi Libri dell’Antico Testamento. Questi contengono non poche prescrizioni pratiche riguardanti l’ambito dell’igiene, oppure quello della medicina, contrassegnato più dall’esperienza che dalla scienza, secondo il livello allora raggiunto (cfr. Lev 12,1-6; 15,1-28; Dt 21,12-13). E, del resto, il legame esperienza-scienza è, notoriamente, ancora attuale. In questa vasta sfera di problemi, la medicina accompagna sempre da vicino l’etica; e l’etica, come anche la teologia, ne cerca la collaborazione.
  2. Quando Cristo nel discorso della montagna pronunzia le parole: «Avete inteso che fu detto: Non commettere adulterio», e immediatamente aggiunge: «Ma io vi dico…», è chiaro che Egli vuole ricostruire nella coscienza dei suoi ascoltatori il significato etico proprio di questo comandamento, distaccandosi dall’interpretazione dei «dottori», esperti ufficiali della legge. Ma, oltre all’interpretazione proveniente dalla tradizione, l’Antico Testamento ci offre ancora un’altra tradizione per comprendere il comandamento «non commettere adulterio». Ed è la tradizione dei Profeti. Questi, facendo riferimento all’«adulterio», volevano ricordare «ad Israele e a Giuda» che il loro peccato più grande era l’abbandono dell’unico e vero Dio in favore del culto a vari idoli, che il popolo eletto, a contatto con gli altri popoli, aveva fatto propri facilmente e in modo sconsiderato. Così dunque è caratteristica propria del linguaggio dei Profeti piuttosto l’analogia con l’adulterio anziché l’adulterio stesso; e tuttavia tale analogia serve a comprendere anche il comandamento «non commettere adulterio» e la relativa interpretazione, la cui carenza è avvertita nei documenti legislativi. Negli oracoli dei Profeti, e particolarmente di Isaia, Osea ed Ezechiele, il Dio dell’Alleanza-Jahvè viene rappresentato spesso come Sposo, e l’amore con cui egli si è congiunto ad Israele può e deve immedesimarsi con l’amore sponsale dei coniugi. Ed ecco che Israele, a causa della sua idolatria e dell’abbandono del Dio-Sposo, commette davanti a lui un tradimento che si può paragonare a quello della donna nei riguardi del marito: commette, appunto, «adulterio».
  3. I Profeti con parole eloquenti e, sovente, mediante immagini e similitudini straordinariamente plastiche, presentano sia l’amore di Jahvè-Sposo, sia il tradimento di Israele-Sposa che si abbandona all’adulterio. E’ un tema, questo, che dovrà essere ancora ripreso nelle nostre riflessioni, quando cioè sottoporremo ad analisi il problema del «Sacramento»; nondimeno già ora occorre sfiorarlo, in quanto è necessario per intendere le parole di Cristo, secondo Matteo 5,27-28, e capire quel rinnovamento dell’ethos, che queste parole implicano: «Ma io vi dico…». Se, da una parte, Isaia (cfr. Is 54; 62,1-5) nei suoi testi si presenta nell’atto di porre in risalto soprattutto l’amore di Jahvè-Sposo, che, in ogni circostanza, va incontro alla Sposa, oltrepassando tutte le sue infedeltà, dall’altra parte Osea e Ezechiele abbondano di paragoni, che chiariscono soprattutto la bruttezza e il male morale dell’adulterio commesso dalla Sposa-Israele.

Nella successiva meditazione cercheremo di penetrare ancor più profondamente nei testi dei Profeti, per chiarire ulteriormente il contenuto che, nella coscienza degli ascoltatori del discorso della montagna, corrispondeva al comandamento: «non commettere adulterio».