La stessa gelosia conferma la irreversibilità e la profondità soggettiva della scelta sponsale, secondo un amore «più forte della morte»

la seguente catechesi  è tratta dal testo “uomo e donna lo creò”  (non mi risulta mai pronunciata dal Santo Padre), per completezza la riporto in questa “raccolta” augurandomi di non violare alcun diritto dell’Editore (ho riportato solo il testo attribuito al Santo Padre e non ho riportato le note ritenendole proprietà intellettuale dell’Editore e dei curatori dell’edizione)

  1. Il corpo cela in sé la prospettiva della morte cui l’amore non vuole assoggettarsi. L’amore è infatti — come leggiamo nel Cantico dei Cantici — «una fiamma del Signore» che «le grandi acque non possono spegnere», «né i fiumi travolgerlo» (Ct 8, 6-7). Fra le parole scritte in tutta la letteratura mondiale sulla forza dell’amore, queste sembrano particolarmente appropriate e belle. Esse dimostrano ad un tempo che cosa è l’amore nella sua dimensione soggettiva come vincolo unificante l’«io» maschile e femminile. Secondo i versetti del Cantico, l’amore non è soltanto «forte come la morte», esso è anche geloso: «tenace come gli inferi è la gelosia» (Ct 8, 6). La gelosia conferma, in certo senso, l’esclusività e l’indivisibilità dell’amore — indica, per lo meno indirettamente, l’irreversibilità e la profondità soggettiva della scelta sponsale. È difficile tuttavia negare che la gelosia manifesti ancora un’altra limitazione dell’amore: limitazione di natura spirituale. La sposa ripete continuamente: «la sua brama è verso di me» (Ct 7, 11), cosicché l’appartenenza reciproca di entrambi, quel «mio diletto è per me ed io per lui» (Ct 2, 16) sembra esser generato dalla brama, soprattutto maschile, a cui da parte della sposa risponde il desiderio e l’accettazione di questa brama. Il desiderio stesso non è capace di oltrepassare la soglia della gelosia.

  1. Così dunque le strofe del Cantico dei Cantici presentano l’eros come la forma dell’amore umano in cui operano le energie della brama ed è in esse che si radica la coscienza ossia la certezza soggettiva del reciproco appartenersi. Al tempo stesso però molte strofe del poema ci impongono di riflettere sulla causa della ricerca e dell’inquietudine che accompagnano la coscienza del reciproco appartenersi. Questa inquietudine fa essa anche parte della natura dell’eros? Se così fosse, tale inquietudine indicherebbe ad un tempo la necessità dell’autosuperamento. La verità dell’amore si esprime nella coscienza del reciproco appartenersi, che è frutto dell’aspirazione e della ricerca reciproca, e contemporaneamente questa verità dell’amore si esprime nella necessità dell’aspirazione e della ricerca che nasce dall’esperienza del reciproco appartenersi. L’amore esige da entrambi di sorpassare, direi, continuamente la scalea di tale appartenenza, cercandone sempre una forma nuova e più matura.

  1. In tale necessità interiore, in tale dinamica di amore, si svela indirettamente quasi l’impossibilità di appropriarsi ed impossessarsi della persona da parte dell’altra.

La persona è qualcuno che sovrasta tutte le scalee di appropriazione e padronanza, di possesso e di appagamento che emergono dallo stesso «linguaggio del corpo». Se lo sposo e la sposa rileggono questo «linguaggio» nella piena verità della persona e dell’amore, giungono alla sempre più profonda convinzione che il limite della loro appartenenza costituisce quel dono reciproco in cui l’amore si rivela «forte come la morte», cioè risale, per così dire, fino agli ultimi limiti del «linguaggio del corpo» per superare anche questi limiti. La verità dell’amore interiore e la verità del dono reciproco chiamano, in certo senso, continuamente lo sposo e la sposa — attraverso i mezzi di espressione del reciproco appartenersi e perfino staccandosi da quei mezzi — a pervenire a ciò che costituisce il nucleo stesso del dono di persona a persona.

  1. Seguendo i sentieri delle parole tracciate dalle strofe del Cantico dei Cantici sembra che ci avviciniamo dunque alla dimensione in cui l’«eros» cerca di integrarsi, mediante ancora un’altra verità dell’amore. Una volta — alla luce della morte e risurrezione di Cristo — questa verità la proclamerà Paolo di Tarso, con le parole della Lettera ai Corinzi: «La carità è paziente, è benigna la carità; non è invidiosa la carità, non si vanta, non si gonfia, non manca di rispetto, non cerca il suo interesse, non si adira, non tiene conto del male ricevuto, non gode dell’ingiustizia, ma si compiace della verità. Tutto copre, tutto crede, tutto spera, tutto sopporta. La carità non avrà mai fine» (1 Cor 13, 4-8).

  1. La verità sull’amore, espressa nelle strofe del Cantico dei Cantici, viene confermata alla luce di queste parole paoline? Nel Cantico leggiamo, ad es., sull’amore, che la sua «gelosia» è «tenace come gli inferi», e nella lettera paolina leggiamo che «non è invidiosa la carità». In quale rapporto sono entrambe le espressioni sull’amore? In quale rapporto sta l’amore che «è forte come la morte», secondo il Cantico dei Cantici, con l’amore che «non avrà mai fine», secondo la lettera paolina? Non moltiplichiamo queste domande, non apriamo l’analisi comparativa. Sembra tuttavia che l’amore si apre qui davanti a noi, direi, in due prospettive: come se ciò in cui l’«eros» umano chiude il proprio orizzonte, si aprisse ancora, attraverso le parole paoline, in un altro orizzonte di amore che parla un altro linguaggio; l’amore che sembra emergere da un’altra dimensione della persona e chiama, invita ad un’altra comunione. Questo amore è stato denominato «agape».

  1. Il Cantico dei Cantici costituisce un ricco ed eloquente testo della verità sull’amore umano. Multiforme può essere il commento a quel particolare e profondamente originale libro. L’analisi qui fatta non è un commento nel senso proprio di questo termine. È solo un piccolo frammento delle riflessioni sul sacramento del matrimonio, il cui segno visibile viene costituito attraverso la rilettura nella verità del «linguaggio del corpo». Per tali riflessioni il Cantico dei Cantici ha un significato del tutto singolare.