Il segno del matrimonio come sacramento si costruisce sulla base del «linguaggio del corpo» riletto nella verità dell’amore

La seguente catechesi  è tratta dal testo “uomo e donna lo creò”  (non mi risulta mai pronunciata dal Santo Padre), per completezza la riporto in questa “raccolta” augurandomi di non violare alcun diritto dell’Editore (ho riportato solo il testo attribuito al Santo Padre e non ho riportato le note ritenendole proprietà intellettuale dell’Editore e dei curatori dell’edizione)

  1. Riportiamoci ora al «classico» capitolo quinto della Lettera agli Efesini. Questo testo è peraltro quasi sempre presente nelle nostre considerazioni sul matrimonio come sacramento — in primo luogo (e soprattutto) nella dimensione dell’Alleanza e della grazia. Converrà poi riprendere questo testo nel trattare la dimensione del segno sacramentale.

Il Libro di Tobia si serve ovviamente, come i testi dei Profeti, dei riferimenti all’Antica Alleanza; anzitutto però dei riferimenti all’Alleanza originaria, al «principio», cui è unito il matrimonio come sacramento primordiale. La Lettera agli Efesini rivela le sorgenti eterne dell’Alleanza nell’amore del Padre ed insieme la sua nuova e definitiva istituzione in Gesù Cristo.

Tale connessione spiega la sacramentalità del matrimonio ai discepoli e seguaci di Cristo —partecipi della Nuova Alleanza (cfr p. es. Ef 3, 6). Questo si riferisce ovviamente al matrimonio anche nella dimensione del segno sacramentale. Le parole del «classico» brano della Lettera agli Efesini (Ef 5, 21-33) sembrano anche sotto questo aspetto assai eloquenti. Lo abbiamo già, indirettamente, rilevato nelle analisi precedenti di questo testo, tuttavia conviene ora riprenderlo esclusivamente sotto l’aspetto del segno sacramentale del matrimonio.

  1. «Siate sottomessi gli uni agli altri nel timore di Cristo» (Ef 5, 21) – scrive l’autore della Lettera agli Efesini. «I mariti hanno il dovere di amare le mogli come il proprio corpo, perché chi ama la propria moglie ama se stesso. Nessuno mai infatti ha preso in odio la propria carne; al contrario la nutre e la cura, come fa Cristo con la Chiesa… Quindi anche voi, ciascuno da parte sua, ami la propria moglie come se stesso e la donna sia rispettosa verso il marito» (Ef 5, 29.33).

Se il segno del matrimonio come sacramento si costruisce sulla base del «linguaggio del corpo» riletto nella verità dell’amore, la Lettera agli Efesini ne è certamente un’espressione stupenda. Si può dire: «definitiva». In essa troviamo, anche a questo riguardo, le tradizioni dei Profeti dell’Antica Alleanza, e inoltre l’eco del Cantico dei Cantici.

Il breve passo della Lettera agli Efesini non contiene, come il Cantico, il «linguaggio del corpo», in tutta la ricchezza del suo significato soggettivo. Si può dire che contiene la conferma «oggettiva» di questo linguaggio nella sua interezza: una conferma solida e completa.

  1. Le parole dell’autore della Lettera agli Efesini sembrano essere soprattutto un commento a quelle più antiche, originarie parole bibliche in cui trova la sua espressione la natura del segno sacramentale del matrimonio: «I due saranno una sola carne» (Gen 2, 24). Questo commento è personalistico nel pieno significato del termine, il che è stato già rilevato nelle analisi precedenti del testo in questione. Ugualmente personalistica è la lingua della liturgia — sia quando prendiamo in considerazione il Libro di Tobia, sia quando consideriamo la liturgia contemporanea della Chiesa.

Tobia dice: «io prendo questa mia parente… degnati di aver misericordia di me e di lei» (Tb 8, 7). La liturgia contemporanea della Chiesa latina fa dire agli sposi novelli: «Io prendo te come mia sposa… come mio sposo… e prometto di esserti fedele sempre e di amarti e onorarti tutti i giorni della mia vita».

Dal commento della Lettera agli Efesini risulta che il «linguaggio» della mascolinità e femminilità, collegato con il segno dell’«unità della carne», deve esser inteso in modo pienamente personalistico.

 

  1. Basta qui ricordare in breve ciò che a proposito del testo della Lettera agli Efesini è stato già in precedenza accertato: «I mariti hanno il dovere di amare le mogli come il proprio corpo» (Ef 5, 28). Il corpo della moglie non è il corpo proprio del marito, ma deve essere amato come proprio. Si tratta dunque di una unità non ontologica, ma morale: l’unità attraverso l’amore. «Chi ama la propria moglie ama se stesso» (Ef 5, 28).

L’amore fa, in certo senso, dell’altro «io» il proprio «io».L’«io» della moglie diviene, mediante l’amore, per cosi dire, l’«io» del marito. Il corpo è espressione di quell’«io», è la base della sua identità. L’unione del marito e della moglie, anche essa, si esprime attraverso il corpo, attraverso il mutuo rapporto. L’amore unisce non soltanto i due soggetti, ma consente loro di penetrarsi così vicendevolmente, appartenendo spiritualmente l’uno all’altro, che l’autore della lettera può affermare: «Chi ama la propria moglie, ama se stesso» (Ef 5, 28). L’«io» diviene in certo senso il «tu», e il «tu» l’«io» (cfr il matrimonio come sacramento in primo luogo nella dimensione dell’Alleanza e della grazia, pp. 343 ss.).

  1. In tal modo il «linguaggio del corpo» — appunto con questo commento personalistico della Lettera agli Efesini — diviene lingua della liturgia, perché in base ad esso, sul suo fondamento, viene costruito il segno sacramentale del matrimonio.

La liturgia rileva anzitutto come in quel segno si realizzi la dimensione dell’Alleanza e della grazia. Ciò è evidenziato dalla preghiera di Tobia e di Sara nel linguaggio dell’Antica Alleanza. Ciò è evidenziato in seguito dal rito del sacramento del matrimonio nella sua molteplice ricchezza e differenziazione, proprie della liturgia della Chiesa.

Questa liturgia si modella, per la maggior parte, sulla Lettera agli Efesini, quale suo definitivo modello biblico. Nel prisma appunto di quel modello si distingue con particolare chiarezza che attraverso il «linguaggio del corpo», riletto nella verità – verità dell’amore, che è ad un tempo verità integrale delle persone-soggetti – si costruisce il segno sacramentale del matrimonio nella lingua e in tutto il rito liturgico.

  1. Nel prisma dello stesso testo si vede anche il modo in cui la lingua e il rito della liturgia modellano il «linguaggio del corpo» quale testo autenticamente inscritto nella convivenza coniugale dell’uomo e della donna al livello della comunione delle persone. Lo modellano mediante l’Alleanza e la grazia che la liturgia proclama e insieme attua nel sacramento. Non lo confermano forse le parole in cui l’autore della Lettera agli Efesini spiega come i mariti debbano amare le loro mogli («come il proprio corpo»!) e quale debba essere lo «stile» cristiano dei reciproci rapporti e della convivenza dei coniugi? Le parole della lettera, nello specifico contesto del commento personalistico del Libro della Genesi (Gen 2, 23-25), non rivelano forse il senso «assoluto», per cosi dire, di quel «linguaggio del corpo», che esso è in grado di raggiungere solo nell’analogia dell’amore di Cristo con la Chiesa?