Il linguaggio del corpo substrato e contenuto della vita coniugale

UDIENZA GENERALE  – 5 gennaio 1982

  1. «Io… prendo te… come mia sposa»; «Io… prendo te… come mio sposo»: queste parole sono al centro della liturgia del matrimonio quale sacramento della Chiesa. Queste parole pronunciano i fidanzati inserendole nella seguente formula del consenso: «…prometto di esserti fedele sempre, nella gioia e nel dolore, nella salute e nella malattia, e di amarti e onorarti tutti i giorni della mia vita». Con tali parole i fidanzati contraggono il matrimonio e nello stesso tempo lo ricevono come sacramento, di cui entrambi sono ministri. Entrambi, uomo e donna, amministrano il sacramento. Lo fanno davanti al testimoni. Testimone qualificato è il sacerdote, che in pari tempo benedice il matrimonio e presiede a tutta la liturgia del sacramento. Inoltre testimoni sono, in certo senso, tutti i partecipanti al rito delle nozze, e in modo «ufficiale» alcuni di essi (di solito due), appositamente chiamati. Essi debbono testimoniare che il matrimonio è contratto davanti a Dio e confermato dalla Chiesa. Nell’ordine normale delle cose, il matrimonio sacramentale è un atto pubblico, per mezzo del quale due persone, un uomo e una donna, diventano di fronte alla società e alla Chiesa marito e moglie, cioè soggetto attuale della vocazione e della vita matrimoniale. 2. Il matrimonio come sacramento viene contratto mediante la parola, che è segno sacramentale in ragione del suo contenuto: «Prendo te come mia sposa – come mio sposo – e prometto di esserti fedele sempre, nella gioia e nel dolore, nella salute e nella malattia, e di amarti e onorarti tutti i giorni della mia vita». Tuttavia, questa parola sacramentale è, di per sé, soltanto il segno dell’attuazione del matrimonio. E l’attuazione del matrimonio si distingue dalla sua consumazione fino al punto che, senza questa consumazione, il matrimonio non è ancora costituito nella sua piena realtà. La constatazione che un matrimonio è stato giuridicamente contratto ma non consumato («ratum – non consummatum»), corrisponde alla constatazione che esso non è stato costituito pienamente come matrimonio. Infatti le parole stesse: «Prendo te come mia sposa – mio sposo» si riferiscono non soltanto ad una realtà determinata, ma possono essere adempiute soltanto attraverso la copula coniugale. Tale realtà (la copula coniugale) è peraltro definita fin dal principio per istituzione del Creatore: «L’uomo abbandonerà suo padre e sua madre e si unirà a sua moglie e i due saranno una sola carne» (Gn 2,24). 3. Così, dunque, dalle parole, con le quali l’uomo e la donna esprimono la loro disponibilità a divenire «una sola carne», secondo l’eterna verità stabilita nel mistero della creazione, passiamo alla realtà che corrisponde a queste parole. L’uno e l’altro elemento è importante rispetto alla struttura del segno sacramentale, a cui conviene dedicare il seguito delle presenti considerazioni. Dato che il sacramento è il segno per mezzo del quale si esprime ed insieme si attua la realtà salvifica della grazia e dell’alleanza, bisogna considerarlo ora sotto l’aspetto del segno, mentre le precedenti riflessioni sono state dedicate alla realtà della grazia e dell’alleanza.

Il matrimonio, come sacramento della Chiesa, viene contratto mediante le parole dei ministri, cioè degli sposi novelli: parole che significano e indicano, nell’ordine intenzionale, ciò che (o piuttosto: chi) entrambi hanno deciso di essere, d’ora in poi, l’uno per l’altro e l’uno con l’altro. Le parole degli sposi novelli fanno parte della struttura integrale del segno sacramentale, non soltanto per ciò che significano, ma, in certo senso, anche con ciò che esse significano e determinano. Il segno sacramentale si costituisce nell’ordine intenzionale, in quanto viene contemporaneamente costituito nell’ordine reale. 4. Di conseguenza, il segno del sacramento del matrimonio è costituito mediante le parole degli sposi novelli, in quanto ad esse corrisponde la «realtà» che loro stessi costituiscono. Tutti e due, come uomo e donna, essendo ministri del sacramento nel momento di contrarre il matrimonio, costituiscono in pari tempo il pieno e reale segno visibile del sacramento stesso. Le parole da essi pronunciate non costituirebbero di per sé il segno sacramentale del matrimonio, se non vi corrispondesse la soggettività umana del fidanzato e della fidanzata e contemporaneamente la coscienza del corpo, legata alla mascolinità e alla femminilità dello sposo e della sposa. Qui bisogna rievocare alla mente tutta la serie delle analisi relative al Libro della Genesi (cfr. Gn 1-2), compiute in precedenza. La struttura del segno sacramentale resta infatti nella sua essenza la stessa che «in principio». La determina, in certo senso, «il linguaggio del corpo», in quanto l’uomo e la donna, che mediante il matrimonio debbono diventare una sola carne, esprimono in questo segno il reciproco dono della mascolinità e della femminilità, quale fondamento dell’unione coniugale delle persone. 5. Il segno del sacramento del matrimonio viene costituito per il fatto che le parole pronunciate dagli sposi novelli riprendono il medesimo «linguaggio del corpo» come al «principio», e in ogni caso gli danno una espressione concreta e irripetibile. Gli danno una espressione intenzionale sul piano dell’intelletto e della volontà, della coscienza e del cuore. Le parole: «Io prendo te come mia sposa – come mio sposo», portano in sé appunto quel perenne, e ogni volta unico e irripetibile, «linguaggio del corpo» e nello stesso tempo lo collocano nel contesto della comunione delle persone: «Prometto di esserti fedele sempre, nella gioia e nel dolore, nella salute e nella malattia, e di amarti e onorarti tutti i giorni della mia vita». In tal modo il perenne e ogni volta nuovo «linguaggio del corpo», è non soltanto il «substrato» ma, in certo senso, il contenuto costitutivo della comunione delle persone. Le persone – uomo e donna – diventano per sé un dono reciproco. Diventano quel dono nella loro mascolinità e femminilità scoprendo il significato sponsale del corpo e riferendolo reciprocamente a se stessi in modo irreversibile: nella dimensione di tutta la vita. 6. Così il sacramento del matrimonio come segno permette di comprendere le parole degli sposi novelli, parole che conferiscono un nuovo aspetto alla loro vita nella dimensione strettamente personale (e interpersonale: «communio personarum»), sulla base del «linguaggio del corpo». L’amministrazione del sacramento consiste in questo: che nel momento di contrarre il matrimonio l’uomo e la donna, con le parole adeguate e nella rilettura del perenne «linguaggio del corpo», formano un segno, un segno irripetibile, che ha anche un significato prospettico: «tutti i giorni della mia vita», cioè fino alla morte. Questo è segno visibile ed efficace dell’alleanza con Dio in Cristo, cioè della grazia, che in tale segno deve divenire parte loro, come «proprio dono» (secondo l’espressione della prima Lettera ai Corinzi 7,7). 7. Formulando la questione in categorie socio-giuridiche, si può dire che fra gli sposi novelli è stipulato un patto coniugale di contenuto ben determinato. Si può inoltre dire che, in seguito a questo patto, essi sono diventati sposi in modo socialmente riconosciuto, e che in questo modo è anche costituita nel suo germe la famiglia come fondamentale cellula sociale. Tale modo di intendere è ovviamente concorde con la realtà umana del matrimonio, anzi, è fondamentale anche nel senso religioso e religioso-morale. Tuttavia, dal punto di vista della teologia del sacramento, la chiave per comprendere il matrimonio rimane la realtà del segno, con cui il matrimonio viene costituito sulla base dell’alleanza dell’uomo con Dio in Cristo e nella Chiesa: viene costituito nell’ordine soprannaturale del vincolo sacro esigente la grazia. In questo ordine, il matrimonio è un segno visibile ed efficace. Originato dal mistero della creazione, esso trae la sua nuova origine dal mistero della Redenzione, servendo all’«unione dei figli di Dio nella verità e nella carità» («Gaudium et Spes», 24). La liturgia del sacramento del matrimonio dà forma a quel segno: direttamente, durante il rito sacramentale, in base all’insieme delle sue eloquenti espressioni; indirettamente, nello spazio di tutta la vita. L’uomo e la donna, come coniugi, portano questo segno in tutta la loro vita e rimangono quel segno fino alla morte.

[Il Santo Padre si è poi così rivolto in preghiera alla Madonna di Jasna Góra:]

Signora di Jasna Góra!

All’inizio dell’anno nuovo mi inginocchio dinanzi alla tua Effige. In essa è iscritto il mistero della Divina Maternità che noi veneriamo nel giorno dell’ottava del Natale del Signore, che è anche il giorno del Capodanno.

Ai tuoi piedi, a Jasna Góra, desidero vivere questa ricorrenza insieme con la mia Nazione che da sei secoli fissa lo sguardo sulla tua Maternità Divina in particolare mediante questa Effige.

Grazie ad essa, nella tua Divina Maternità la Nazione polacca ritrova, attraverso tante generazioni, la sua propria Madre. E a questa Madre affida se stessa: tutta la società umana e polacca, la comunità della Nazione e la sua storia.

In questo difficile momento della storia desidero dinanzi a te, Madre, esprimere i filiali auguri per la Polonia, per la mia Patria e per la Nazione.

Auguro che questa Nazione possa vivere nella pace e non nel clima di guerra; che possa vivere la sua propria vita.

Auguro che vengano rispettati – come condizione indispensabile per la pace – tutti i diritti dell’uomo.

Auguro che vengano rispettati pure tutti i diritti della Nazione, attraverso i quali essa possa essere se stessa e decidere di sé secondo le sue giuste aspirazioni e i suoi desideri. Accogli questi auguri, o Madre di Jasna Góra, come preghiera mediante la quale viene venerata la tua divina e insieme umana maternità.

Esaudiscila! e aiuta a realizzarla.