Corretto uso del linguaggio del corpo, testimonianza di veri profeti

UDIENZA GENERALE  – 26 gennaio 1982

  1. Il segno del matrimonio come sacramento della Chiesa viene costituito ogni volta secondo quella dimensione, che gli è propria dal «principio», e allo stesso tempo viene costituito sul fondamento dell’amore sponsale di Cristo e della Chiesa, come l’unica e irripetibile espressione dell’alleanza fra «questo» uomo e «questa» donna, che sono ministri del matrimonio come sacramento della loro vocazione e della loro vita. Nel dire che il segno del matrimonio come sacramento della Chiesa si costituisce sulla base del «linguaggio del corpo», ci serviamo dell’analogia («analogia attributionis»), che abbiamo cercato di chiarire già in precedenza. E’ ovvio che il corpo come tale non «parla», ma parla l’uomo, rileggendo ciò che esige di essere espresso appunto in base al «corpo», alla mascolinità o femminilità del soggetto personale, anzi, in base a ciò che può essere espresso dall’uomo unicamente per mezzo del corpo.

In questo senso, l’uomo – maschio o femmina – non soltanto parla col linguaggio del corpo, ma in un certo senso consente al corpo di parlare «per lui» e «da parte di lui»: direi, a suo nome e con la sua autorità personale. In tal modo, anche il concetto di «profetismo del corpo» sembra essere fondato: il «profeta», infatti, è colui che parla «per» e «da parte di»: a nome e con l’autorità di una persona. 2. Gli sposi novelli ne sono consapevoli quando, contraendo il matrimonio, ne istituiscono il segno visibile. Nella prospettiva della vita in comune e della vocazione coniugale, quel segno iniziale, segno originario del matrimonio come sacramento della Chiesa, verrà continuamente colmato dal «profetismo del corpo». I corpi degli sposi parleranno «per» e «da parte di» ciascuno di loro, parleranno nel nome e con l’autorità della persona, di ciascuna delle persone, svolgendo il dialogo coniugale, proprio della loro vocazione e basato sul linguaggio del corpo, riletto a suo tempo opportunamente e continuamente: ed è necessario che esso sia riletto nella verità! I coniugi sono chiamati a formare la loro vita e la loro convivenza come «comunione delle persone» sulla base di quel linguaggio. Dato che al linguaggio corrisponde un complesso di significati, i coniugi – attraverso la loro condotta e comportamento, attraverso le loro azioni e gesti («gesti di tenerezza»: cfr. «Gaudium et Spes», 49) – sono chiamati a diventare gli autori di tali significati del «linguaggio del corpo», di cui conseguentemente si costruiscono e di continuo si approfondiscono l’amore, la fedeltà, l’onestà coniugale e quell’unione che rimane indissolubile fino alla morte. 3. Il segno del matrimonio come sacramento della Chiesa si forma per l’appunto di quei significati, di cui i coniugi sono autori. Tutti questi significati sono iniziati e in certo senso «programmati» in modo sintetico nel consenso coniugale, al fine di costruire in seguito – nel modo più analitico, giorno per giorno – lo stesso segno, immedesimandosi con esso nella dimensione dell’intera vita. C’è un legame organico fra il rileggere nella verità l’integrale significato del «linguaggio del corpo» e il conseguente usare di quel linguaggio nella vita coniugale. In quest’ultimo ambito l’essere umano – maschio e femmina – è l’autore dei significati del «linguaggio del corpo». Ciò implica che questo linguaggio, di cui egli è autore, corrisponda alla verità che è stata riletta. In base alla tradizione biblica, parliamo qui del «profetismo del corpo». Se l’essere umano – maschio e femmina – nel matrimonio (e indirettamente anche in tutti gli ambiti della mutua convivenza) conferisce al suo comportamento un significato conforme alla verità fondamentale del linguaggio del corpo, allora anche lui stesso «è nella verità». Nel caso contrario, egli commette menzogne e falsifica il linguaggio del corpo. 4. Se ci poniamo sulla linea prospettica del consenso coniugale, che – come abbiamo ormai detto – offre agli sposi una particolare partecipazione alla missione profetica della Chiesa, tramandata da Cristo stesso, ci si può a questo proposito servire anche della distinzione biblica tra profeti «veri» e profeti «falsi».

Attraverso il matrimonio come sacramento della Chiesa, l’uomo e la donna sono in modo esplicito chiamati a dare – servendosi correttamente del «linguaggio del corpo» – la testimonianza dell’amore sponsale e procreativo, testimonianza degna di «veri profeti». In questo consiste il significato giusto e la grandezza del consenso coniugale nel sacramento della Chiesa. 5. La problematica del segno sacramentale del matrimonio ha carattere altamente antropologico. La costruiamo sulla base dell’antropologia teologica e in particolare su ciò che, sin dall’inizio delle presenti considerazioni, abbiamo definito come «teologia del corpo». Perciò, nel continuare queste analisi, dobbiamo sempre avere davanti agli occhi le considerazioni precedenti, che si riferiscono all’analisi delle parole-chiave di Cristo (diciamo «parole-chiave, perché ci aprono – come la chiave – le singole dimensioni dell’antropologia teologica, specialmente della teologia del corpo). Costruendo su questa base l’analisi del segno sacramentale del matrimonio di cui – anche dopo il peccato originale – sono sempre partecipi l’uomo e la donna, quale «uomo storico», dobbiamo ricordare costantemente il fatto che quell’uomo «storico», maschio e femmina, è ad un tempo l’«uomo della concupiscenza» come tale, ogni uomo e ogni donna entrano nella storia della salvezza e ne vengono coinvolti mediante il sacramento, che è segno visibile dell’alleanza e della grazia. Perciò, nel contesto delle presenti riflessioni sulla struttura sacramentale del segno del matrimonio, dobbiamo tener conto non soltanto di ciò che Cristo disse sull’unità e indissolubilità del matrimonio facendo riferimento al «principio», ma anche (e ancor più) di ciò che egli espresse nel Discorso della Montagna, quando si richiamò al «cuore umano».

Preghiera alla Madonna di Jasna Góra

Madre di Jasna Góra! Ecco, nel corso dei sei secoli della tua presenza nell’Effige da noi tanto amata, tu sembri dire: «Accogliete il mio Figlio e la sua parola non quale parola di uomini, ma, come è veramente, quale parola di Dio che opera in voi che credete» (cfr. 1Ts 2,13).

Così sembri parlare tu, Madre, a noi. E la parola che opera in noi che crediamo, proviene dal tuo Figlio. Egli è l’Eterno Verbo, il Verbo che viene a noi nel silenzioso e vivo splendore della tua Maternità.

Questa è la parola di Natale che è risuonata con un’eco così profonda nelle anime polacche. E’ la parola di Natale che, durante i secoli, ha risuonato e continua a risuonare nei nostri canti natalizi.

Quanta ricchezza di contenuto e di melodia! Quanta ricchezza di pensiero e di cuore!

Mickievicz (poeta polacco) ha scritto: «Tu credi che Dio è nato nella mangiatoia di Betlemme, ma guai se egli non è nato in te».

Oggi, mentre il tempo di Natale dura ancora nella tradizione della popolazione, desidero pregarti, o madre di Jasna Góra, col canto di tutti i nostri cantici di Natale, tanto numerosi.

E’ grazie ad essi che, nonostante le oscurità e le difficoltà tanto numerose che la vita porta con sé, rivediamo nel profondo della nostra esistenza la luce, e sentiamo di nuovo la gioia che «il Verbo si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi» (Gv 1,14).

Non cessiamo mai di attingervi la forza spirituale!